Da sempre l’uomo ha cercato di comunicare con la scrittura. Dalle caverne con i graffiti alla società moderna, attraverso le più evolute macchine da scrivere passando per i papiri egizi, il dialogo scritto è considerato fondamentale nella storia dell’uomo. Da qui, l’invenzione che ha rivoluzionato ed unificato per anni il metodo di comunicazione e di scrittura: l’inchiostro.
Gli antichi romani lo chiamavano Atramentum, i latini Encaustum o Melanion: l’inchiostro e la sua fabbricazione in passato era considerata una vera e propria arte. Si possono considerare precursori gli egizi e i cinesi che già 5000 anni fa producevano a stati primordiali i primissimi inchiostri: il nero che era a base di nerofumo (nero di carbone) e il rosso che era composto da estratti vegetali, solfuri e ossidi. Successivamente in aggiunta agli inchiostri di nerofumo, sono comparsi anche gli inchiostri metallo gallici, frutto della reazione chimica tra il tannino estratto dalle scorze di frutta o dalle noci di galla e un sale metallico, i quali hanno portato ad ampliare la tavolozza di colori a disposizione degli scrittori.
Dal 1200 in poi le formule utilizzate si sono moltiplicate e, grazie alla nascita della stampa a caratteri mobili si è venuta a creare una vera e propria “richiesta di inchiostro” a seguito dello sviluppo industriale.
Gli strumenti usati nel passato per “stendere” l’inchiostro erano naturali ed artigianali: si usavano penne d’oca o canne di bambù, con risultati di sbavature e difficoltà nel trasporto. Grazie all’idea e all’introduzione della penna stilografica, prima e a sfera poi, si sono avuti notevoli miglioramenti, dal trasporto alle dimensioni del prodotto, dalla stabilità e scorrevolezza, alla facile asciugatura ed assenza di sbavature.
Con uno sguardo alla salute, gli ultimi anni sono caratterizzati da un progressivo ritorno ad inchiostri completamente bio, prodotti grazie ad oli vegetali o ricavati da fonti rinnovabili che garantiscono ugualmente un’ottima stampabilità e versatilità.